Servo di scena (The dresser)

con (in ordine di apparizione)
Mr Thornton > Valerio Rollone
Norman > Luca Brancato
Milady > Paola Vigna
Irene > Annalisa Canetto
Madge > Anna Antonia Mastino
Sir Ronald > Giovanni Mongiano
Mr Oxenby > Marco Panno
regia
Giovanni Mongiano
Livio Ghisio

Ambientato in un teatro di provincia nell’Inghilterra del 1942, stremata dai bombardamenti, racconta la storia di una compagnia di giro shakespeariana, diretta dal dispotico e ormai vecchio Sir Ronald alle prese con la 227esima replica di Re Lear. Accudito dal fedele servo di scena Ronald, che subisce quasi senza ribellarsi le bizze e le angherie del suo amato capocomico, Sir Ronald è appena fuggito dall’ospedale, perché dice “c’è il mio nome sul manifesto” e non vuole mancare la recita serale mentre fuori infuriano gli attacchi aerei e le bombe. Ma la sua salute mentale è così compromessa che sembra impossibile andare in scena questa sera… Ruotano intorno ai due protagonisti, assolutamente complementari e necessari uno all’altro, una serie di solitudini emblematiche, da Milady, la moglie di Sir Ronald, rassegnata e piena di rimpianti per non aver accettato le offerte cinematografiche di Hollyvood, a Madge, la direttrice di scena, segretamente innamorata di Sir Ronald ma disillusa e pur incapace di staccarsi da lui, a Thornton, vecchio attore mite e sentimentale, che spera di poter sfruttare il momento favorevole dovuto alla guerra, quando gli attori in forze e giovani sono stati chiamati alle armi, per finire con Irene, giovanissima attrice, in qualche modo irretita anch’essa e convinta di avere davanti una brillante carriera, dopo un incontro piuttosto intimo in camerino con Sir Ronald. Sarà Norman a disilluderla: Il suo padrone cerca solo un’attrice leggera per la parte di Cordelia, da poter prendere in braccio nella scena finale di Re Lear.
Ci attende un finale amaro e poetico, con un colpo di scena finale improvviso e forse inaspettato, a suggellare due atti pieni di divertimento, comicità, ironia e tanto amore per il lavoro dell’attore, all’apparenza così romantico, ma spesso crudele, e da cui è impossibile staccarsi.

Improvvisazioni di un attore che legge

Improvvisazioni di un attore che legge locandina

Un titolo beffardo e spiazzante, dalle mille interpretazioni possibili, “Improvvisazioni di un attore che legge” racconta le esilaranti e tragicomiche vicende di Matteo Sinagra, sfortunato attore della compagnia di giro del “commendatore” Ermete Zacconi, il più grande capocomico nell’Italia del primo Novecento (così almeno Lui dice…). La vita di palcoscenico, dura, romantica, almeno agli occhi degli estranei, ma piena di grotteschi imprevisti, di speranze sempre deluse e umiliazioni cocenti, ma da cui è impossibile separarsi. Un esercizio di equilibrismo, sul filo ora dell’ironia, ora di una perfida comicità, tra improvvisazioni fulminanti (siamo tutti figli della Commedia dell’Arte!), vezzi deprecabili, provocazioni musicali, suggeritori sprovveduti, tecnici distratti e pipistrelli minacciosi. E poi una garbata ma inesorabile incursione nel mondo di Shakespeare, l’intoccabile Shakespeare, insoddisfatto se alla fine delle sue tragedie i personaggi non sono morti tutti, e una strizzatina d’occhio al grande Pirandello, il maestro indiscusso del teatro di quegli anni per la disperazione di capocomici e attori, più a loro agio con il vaudeville alla francese o il drammone a fosche tinte.
Giovanni Mongiano ci offre un’interpretazione sorniona, in certi momenti smarrita e stralunata alla Buster Keaton, in altri ritmicamente irrefrenabile e incontenibile, in un susseguirsi di gags, confessioni inconfessabili, immedesimazioni sarcasticamente rubate al Teatro D’Arte di Mosca, incidenti inaspettati, e un finale sorprendente, del tutto imprevedibile che lascia un segno profondo.
E molto presto anche il pubblico non può che diventare complice di Matteo Sinagra, e seguire le sue avventure e disavventure con partecipazione e grande divertimento.
Un’appassionata dichiarazione d’amore verso il teatro, dedicata anche a tutti gli attori, compresi quelli pigri pigri, che oggi sempre più “leggono” in palcoscenico, invece di studiare “la parte” o improvvisare (siamo tutti figli della Commedia dell’Arte, no?)…!

Zorro (un eremita sul marciapiede)

di Margaret Mazzantini
INTERPRETAZIONE E REGIA LUCA BRANCATO
COREOGRAFIE • TIZIANA FAVERO
MARIONETTA • CZECHMARIONETTES, PRAGA

Il testo, edito nel 2004, è un monologo teatrale scritto da Margaret Mazzantini per il marito Sergio Castellitto. Protagonista è un senzatetto, il quale osserva il mondo che lo circonda e racconta la propria vita, attraverso una vasta gamma di sentimenti: rabbia, ironia, nostalgia, speranza… A partire dall’infanzia e dall’incontro con il suo
amato cane, al suo primo – e forse unico – amore, fino al suo rapporto con il prossimo, l’odiato‐amato “cormorano” come ama ribattezzarlo. Pungente e diretto Zorro, dal suo punto di vista in qualche modo privilegiato osserva, studia, rievoca, costruendo un monologo che vuole aprire gli occhi dello spettatore su una verità reclusa nel buio antro della coscienza. Attraverso Zorro, Margaret Mazzantini dà
voce agli esiliati, a coloro che – invisibili e dimenticati – vivono in mezzo a noi.


“Ma io mi chiedo, ma che cosa sono tutti ‘sti negozi, ‘sti bisogni? Obblighi! Fregature!” “Zorro è uno dei tanti eremiti che popolano i marciapiedi delle nostre città. Uno che ha perso tutto e ora non ha altra occupazione che sopravvivere cercando sé stesso.
Un solitario che dalla strada, però, volente o nolente, ha imparato quali sono le vere esigenze e le priorità della vita. Un uomo libero dai finti bisogni della vita quotidiana.
Un uomo cui la strada ha regalato il suo bene più prezioso: il tempo. Tempo di danzare, cantare, declamare poesie e recitare versi. Tempo di scrutare sciami di cicale frenetiche con in mano i loro i‐ndispensabili i‐phone/i‐pod/i‐pad/e‐book/i‐etc. annaspare spaurite e infelici per le vie della sua città, inghiottite dagli obblighi della
vita “regolare”. Tempo di deridere l’assurdità del vivere moderno. Tempo di rimpiangere, in fondo, i giorni in cui anche lui era uno di loro.
Una critica, lieve e pungente al tempo stesso, dello stile di vita dell’uomo del nuovo millennio”.

La morte di Ivan Il’Ic

CON Luca Brancato e Anna Mastino

REGIA E DRAMMATURGIA Giovanni Mongiano

SCENOGRAFIA Ronaldo Farolfi

Un attore, in tournée, nel suo camerino si prepara per la replica serale. Mentre fa qualche esercizio di riscaldamento, la serva di scena se ne sta in un angolo con un libro tra le mani. L’attore, incuriosito, fa leggere la ragazza ad alta voce. Comincia un gioco, il camerino si anima, l’attore indossa un frac e va a far visita alla vedova… I due si divertono. Siamo finiti in una commedia di Gogol? Ora l’attore sembra appassionarsi alla storia del povero Ivan Il’ic (l’interfono gracchia che manca mezz’ora e manda un’orribile musichetta), assecondato goffamente dalla ragazza, e sembra dimenticarsi degli spettatori che lo aspettano là fuori. A poco a poco il camerino prende un’altra forma. Che succede? Perché l’attore adesso sta male? O è Ivan Il’ic? Prende medicine, riceve la visita di illustri dottori… La moglie e la figlia invece stanno per andare a teatro, che combinazione… Compare Niusha, no, non è la serva di scena, o magari sì, gli tira su le gambe, gli parla dolcemente. Il camerino non c’è più, l’attore è sparito, di fronte ai nostri occhi c’è Ivan Il’ic, o semplicemente un uomo come tanti. E Niusha allora chi è? Ecco, è la fine… Anche l’interfono si è commosso, ma gracchia l’ineluttabile “Chi è di scena!”. Una dolce e terribile riflessione sulla morte, dentro un lieve gioco di teatro nel teatro.

Donna, come ti chiami?

da BRECHT, POLITKOVSKAJA, SZYMBORSKA, WESKER

con
Marinella Debernardi
e Luca Brancato
regia e drammaturgia
Giovanni Mongiano

Donne. Donne discriminate, emarginate. Donne che combattono. Donne umiliate, stuprate, ammazzate. Donne che non si arrendono. Donne forti, coraggiose, intelligenti, orgogliose. Donne che rialzano la testa, sempre. Donne non rieducabili, donne abbandonate al proprio destino, donne oltraggiate per la loro diversità, che si rifiutano di soccombere alla follia di una società che s’inventa gli espedienti più subdoli per perseguitarle, ignorarle, ghettizzarle.
Uno spettacolo ispirato e cadenzato da alcune straordinarie poesie di Wislawa Szymborska, nel quale incontriamo profondi ed elevati momenti di teatro civile. A fare da fulcro “La moglie ebrea” di Bertolt Brecht, nona stazione di “Terrore e miseria del terzo Reich”, amara riflessione sulla decomposizione degli affetti più cari a causa di motivi razziali, passando attraverso le donne contemporanee di Arnold Wesker, qui riunite in un solo personaggio, emblematico e rivelatore, ricostruito drammaturgicamente in un atto unico intitolato “Due lettere”, per infine rendere omaggio al sacrificio di una donna eroica, Anna Politkovskaja, usando le parole dei suoi reportage e gli interrogatori dei suoi aguzzini, fino al terribile e non inatteso epilogo.
Immagini suggestive scorrono insistenti su di uno schermo e fanno da controcanto alle azioni e alle vicende sceniche rappresentate dalla protagonista Marinella Debernardi che interpreta i vari ruoli immersa in una surreale scenografia composta da evocativi tronchi posati su un tappeto di foglie.

Medeamaterial

di Heiner Müller 
con Annalisa Canetto, Marinella Debernardi, Luca Brancato.
Regia di Luca Brancato.

L’opera si divide in tre parti: “Riva abbandonata”, che risale ai primi anni ’50, è una descrizione, criptica e frammentaria, del paesaggio di morte e distruzione lasciato nella Colchide dal passaggio degli argonauti, che l’autore rivede con lungimiranza nella desolazione e nel consumismo che andava in quegli anni esplodendo; “Materiale per Medea”, il cuore dell’opera, scritta da Muller alla fine degli anni ’60, nella quale si snoda la tragedia di Medea; infine “Paesaggio con argonauti”, epilogo affidato a Giasone e composto nel 1983, incentrato sul tema della guerra e sulla follia della conquista: l’io narrante diventa Io collettivo e la guerra di Colchide diviene ogni guerra combattuta inutilmente dalle origini dell’umanità fino ai giorni nostri.