












Una famiglia scombinata e stravagante. Tre sorelle e un fratello, dopo molti anni, si ritrovano, la vigilia di Pasqua, nella casa della loro infanzia, in uno sperduto villaggio del Québec meridionale. Aleggia su di loro, sulle loro incomprensioni e sulle loro insoddisfazioni, la figura ingombrante della madre, che abbandonò marito e figli quindicianni prima… La ferita di questo crudele distacco non si è mai rimarginata.
Gli interrogativi continuano a rincorrersi e ciascuno crede di conoscere laverità: Luc, scrittore incompreso, dà la colpa alla malignità della gente del paese, ed è venuto per vendicarsi, in modo bizzarro e rischioso. Martine non ha mai perdonato la relazione della mamma con Federico, il suo amante spagnolo, ed è andata ad arruolarsi nelle forze armate, come fece papà che, scoperto l’adulterio, partì per la guerra morendo da eroe. Catherine, la più grande, ha dedicato tutte le sue energie ad Isabelle, la sorella più giovane, come una “mamma” un po’ troppo soffocante. Per proteggere Isabelle bambina, i fratelli le inventarono la pietosa bugiache la mamma era morta e Catherine non le ha mai detto la verità. Oggi, sabato santo, sembra giunto il momento della resa dei conti. Ma domani è Pasqua, “il giorno della resurrezione”. Sarà proprio la “candida” Isabelle ad annunciare l’improvviso ritorno della mamma. In un crescendo continuo di colpi di scena, tra travestimenti e macabri scherzi, commedia e dramma si rincorrono fino all’imprevedibile epilogo.
Michel Marc Bouchard è uno degli autori canadesi contemporanei più rappresentativi, figura di spicco del cosiddetto “Teatro del Québec”.
di Michel Marc Bouchard
regia Giovanni Mongiano
Catherine Tanguay, sorella maggiore.
Insegnante alla scuola elementare di Saint-Ludger de Milot.
Marinella Debernardi
Isabelle Tanguay, sorella minore.
Addetta alla sbarra d’ingresso del parco dei Passes-Dangereuses.
Annalisa Canetto
Luc Tanguay, fratello.
Pseudoscrittore.
Luca Brancato
Martine Tanguay, sorella cadetta.
Capitano nelle Forze Armate canadesi di stanza a Baden-Solingen.
Anna Mastino
con (in ordine di apparizione)
Mr Thornton > Valerio Rollone
Norman > Luca Brancato
Milady > Paola Vigna
Irene > Annalisa Canetto
Madge > Anna Antonia Mastino
Sir Ronald > Giovanni Mongiano
Mr Oxenby > Marco Panno
regia
Giovanni Mongiano
Livio Ghisio
Ambientato in un teatro di provincia nell’Inghilterra del 1942, stremata dai bombardamenti, racconta la storia di una compagnia di giro shakespeariana, diretta dal dispotico e ormai vecchio Sir Ronald alle prese con la 227esima replica di Re Lear. Accudito dal fedele servo di scena Ronald, che subisce quasi senza ribellarsi le bizze e le angherie del suo amato capocomico, Sir Ronald è appena fuggito dall’ospedale, perché dice “c’è il mio nome sul manifesto” e non vuole mancare la recita serale mentre fuori infuriano gli attacchi aerei e le bombe. Ma la sua salute mentale è così compromessa che sembra impossibile andare in scena questa sera… Ruotano intorno ai due protagonisti, assolutamente complementari e necessari uno all’altro, una serie di solitudini emblematiche, da Milady, la moglie di Sir Ronald, rassegnata e piena di rimpianti per non aver accettato le offerte cinematografiche di Hollyvood, a Madge, la direttrice di scena, segretamente innamorata di Sir Ronald ma disillusa e pur incapace di staccarsi da lui, a Thornton, vecchio attore mite e sentimentale, che spera di poter sfruttare il momento favorevole dovuto alla guerra, quando gli attori in forze e giovani sono stati chiamati alle armi, per finire con Irene, giovanissima attrice, in qualche modo irretita anch’essa e convinta di avere davanti una brillante carriera, dopo un incontro piuttosto intimo in camerino con Sir Ronald. Sarà Norman a disilluderla: Il suo padrone cerca solo un’attrice leggera per la parte di Cordelia, da poter prendere in braccio nella scena finale di Re Lear.
Ci attende un finale amaro e poetico, con un colpo di scena finale improvviso e forse inaspettato, a suggellare due atti pieni di divertimento, comicità, ironia e tanto amore per il lavoro dell’attore, all’apparenza così romantico, ma spesso crudele, e da cui è impossibile staccarsi.
di Margaret Mazzantini
INTERPRETAZIONE E REGIA LUCA BRANCATO
COREOGRAFIE • TIZIANA FAVERO
MARIONETTA • CZECHMARIONETTES, PRAGA
Il testo, edito nel 2004, è un monologo teatrale scritto da Margaret Mazzantini per il marito Sergio Castellitto. Protagonista è un senzatetto, il quale osserva il mondo che lo circonda e racconta la propria vita, attraverso una vasta gamma di sentimenti: rabbia, ironia, nostalgia, speranza… A partire dall’infanzia e dall’incontro con il suo
amato cane, al suo primo – e forse unico – amore, fino al suo rapporto con il prossimo, l’odiato‐amato “cormorano” come ama ribattezzarlo. Pungente e diretto Zorro, dal suo punto di vista in qualche modo privilegiato osserva, studia, rievoca, costruendo un monologo che vuole aprire gli occhi dello spettatore su una verità reclusa nel buio antro della coscienza. Attraverso Zorro, Margaret Mazzantini dà
voce agli esiliati, a coloro che – invisibili e dimenticati – vivono in mezzo a noi.
“Ma io mi chiedo, ma che cosa sono tutti ‘sti negozi, ‘sti bisogni? Obblighi! Fregature!” “Zorro è uno dei tanti eremiti che popolano i marciapiedi delle nostre città. Uno che ha perso tutto e ora non ha altra occupazione che sopravvivere cercando sé stesso.
Un solitario che dalla strada, però, volente o nolente, ha imparato quali sono le vere esigenze e le priorità della vita. Un uomo libero dai finti bisogni della vita quotidiana.
Un uomo cui la strada ha regalato il suo bene più prezioso: il tempo. Tempo di danzare, cantare, declamare poesie e recitare versi. Tempo di scrutare sciami di cicale frenetiche con in mano i loro i‐ndispensabili i‐phone/i‐pod/i‐pad/e‐book/i‐etc. annaspare spaurite e infelici per le vie della sua città, inghiottite dagli obblighi della
vita “regolare”. Tempo di deridere l’assurdità del vivere moderno. Tempo di rimpiangere, in fondo, i giorni in cui anche lui era uno di loro.
Una critica, lieve e pungente al tempo stesso, dello stile di vita dell’uomo del nuovo millennio”.
CON Luca Brancato e Anna Mastino
REGIA E DRAMMATURGIA Giovanni Mongiano
SCENOGRAFIA Ronaldo Farolfi
Un attore, in tournée, nel suo camerino si prepara per la replica serale. Mentre fa qualche esercizio di riscaldamento, la serva di scena se ne sta in un angolo con un libro tra le mani. L’attore, incuriosito, fa leggere la ragazza ad alta voce. Comincia un gioco, il camerino si anima, l’attore indossa un frac e va a far visita alla vedova… I due si divertono. Siamo finiti in una commedia di Gogol? Ora l’attore sembra appassionarsi alla storia del povero Ivan Il’ic (l’interfono gracchia che manca mezz’ora e manda un’orribile musichetta), assecondato goffamente dalla ragazza, e sembra dimenticarsi degli spettatori che lo aspettano là fuori. A poco a poco il camerino prende un’altra forma. Che succede? Perché l’attore adesso sta male? O è Ivan Il’ic? Prende medicine, riceve la visita di illustri dottori… La moglie e la figlia invece stanno per andare a teatro, che combinazione… Compare Niusha, no, non è la serva di scena, o magari sì, gli tira su le gambe, gli parla dolcemente. Il camerino non c’è più, l’attore è sparito, di fronte ai nostri occhi c’è Ivan Il’ic, o semplicemente un uomo come tanti. E Niusha allora chi è? Ecco, è la fine… Anche l’interfono si è commosso, ma gracchia l’ineluttabile “Chi è di scena!”. Una dolce e terribile riflessione sulla morte, dentro un lieve gioco di teatro nel teatro.
da BRECHT, POLITKOVSKAJA, SZYMBORSKA, WESKER
con
Marinella Debernardi
e Luca Brancato
regia e drammaturgia
Giovanni Mongiano
Donne. Donne discriminate, emarginate. Donne che combattono. Donne umiliate, stuprate, ammazzate. Donne che non si arrendono. Donne forti, coraggiose, intelligenti, orgogliose. Donne che rialzano la testa, sempre. Donne non rieducabili, donne abbandonate al proprio destino, donne oltraggiate per la loro diversità, che si rifiutano di soccombere alla follia di una società che s’inventa gli espedienti più subdoli per perseguitarle, ignorarle, ghettizzarle.
Uno spettacolo ispirato e cadenzato da alcune straordinarie poesie di Wislawa Szymborska, nel quale incontriamo profondi ed elevati momenti di teatro civile. A fare da fulcro “La moglie ebrea” di Bertolt Brecht, nona stazione di “Terrore e miseria del terzo Reich”, amara riflessione sulla decomposizione degli affetti più cari a causa di motivi razziali, passando attraverso le donne contemporanee di Arnold Wesker, qui riunite in un solo personaggio, emblematico e rivelatore, ricostruito drammaturgicamente in un atto unico intitolato “Due lettere”, per infine rendere omaggio al sacrificio di una donna eroica, Anna Politkovskaja, usando le parole dei suoi reportage e gli interrogatori dei suoi aguzzini, fino al terribile e non inatteso epilogo.
Immagini suggestive scorrono insistenti su di uno schermo e fanno da controcanto alle azioni e alle vicende sceniche rappresentate dalla protagonista Marinella Debernardi che interpreta i vari ruoli immersa in una surreale scenografia composta da evocativi tronchi posati su un tappeto di foglie.
di Heiner Müller
con Annalisa Canetto, Marinella Debernardi, Luca Brancato.
Regia di Luca Brancato.
L’opera si divide in tre parti: “Riva abbandonata”, che risale ai primi anni ’50, è una descrizione, criptica e frammentaria, del paesaggio di morte e distruzione lasciato nella Colchide dal passaggio degli argonauti, che l’autore rivede con lungimiranza nella desolazione e nel consumismo che andava in quegli anni esplodendo; “Materiale per Medea”, il cuore dell’opera, scritta da Muller alla fine degli anni ’60, nella quale si snoda la tragedia di Medea; infine “Paesaggio con argonauti”, epilogo affidato a Giasone e composto nel 1983, incentrato sul tema della guerra e sulla follia della conquista: l’io narrante diventa Io collettivo e la guerra di Colchide diviene ogni guerra combattuta inutilmente dalle origini dell’umanità fino ai giorni nostri.
Regia e interpretazione di Luca Brancato e Marinella Debernardi
luci di Alessandro Tinelli, scenografie di Alberto Debernardi, costumi di Carla Ariotto e fotografie di Marcello Libra
“L’amante”, atto unico del Premio Nobel per la letteratura 2005, Harold Pinter.
Regia e interpretazione di Luca Brancato e Marinella Debernardi, luci di Alessandro Tinelli, scenografie di Alberto Debernardi, costumi di Carla Ariotto e fotografie di Marcello Libra.
Il testo, scritto nel 1962, è uno tra i più significativi del drammaturgo inglese e indaga la difficile convivenza tra due coniugi, Sarah e Richard, e gli stratagemmi messi in atto per ravvivare un rapporto oppresso dalle convenzioni matrimoniali. Partendo dal particolare, Pinter allarga lo sguardo sull’incomunicabilità della coppia borghese e sulle sue ipocrisie.
“Egregio signore,
Le scrivo per lamentare il mio più assoluto dissenso in merito al protrarsi di una situazione sgradevole e difficilmente tollerabile quale è la sua frequentazione poco ortodossa con mia moglie. Non posso fare a meno di sottolineare come da ormai troppi anni Lei frequenta liberamente e senza alcuna remora casa mia, in mia assenza, approfittando della disponibilità della mia signora. E’ mia intenzione evitare che la faccenda degeneri, come è bene non avvenga tra persone civili.
Pertanto La invito a voler cortesemente porre fine a tale disdicevole situazione, interrompendo le sue visite in casa mia a partire dal dodici del mese corrente.
Sono certo che comprenderà le ragioni profonde della mia richiesta.
Le porgo i miei più cordiali saluti.
Richard”
“Max!
Tutto sta cambiando e io non posso sopportarlo. C’era un equilibrio così perfetto. Lui continua a farmi domande che non ha nessun diritto di fare.
Vuole che io impazzisca chiusa in questa casa, isolata dal mondo. Non posso vivere senza sentire il tuo calore e la tua dolcezza.
Non cedere alle sue minacce. Ti prego. Non devi, non devi…
Tua
Sarah.”
Progetto drammaturgico e interpretazione e regia Giovanni Mongiano
La sonata a Kreutzer”, romanzo breve di Lev Tolstoj, lungi dall essere semplicemente tragedia della gelosia, affronta in modo impietoso i temi dell’amore, del matrimonio, del sesso, con il dichiarato proposito di dissacrare e demolire i miti consacrati della santità della famiglia e della felicita’ coniugale. La crudele sincerità’ e la veemenza di Tolstoj nel
mettere a nudo le ambiguità’, gli egoismi e le ridicole convenzioni su cui si regge l’istituzione matrimonio, sfociano in verdetti disperati di. condanna dei rapporti di coppia, lasciando trasparire inquietudini e disillusioni legate alla vita privata dell’autore.
Secondo la testimonianza della moglie di Tolstoj, Sofja Andreevna, il soggetto della Sonata fu in parte suggerito a Tolstoj dall’attore V.N. Andreev – Burlak che durante una visita allo scrittore nella primavera del 1887, racconto ‘ in modo teatrale che, in treno, un signore gli aveva descritto l’infedeltà’ della moglie e l’infelicità della sua vita coniugale.
Qualcuno ha invece insinuato che la Sonata tragga ispirazione da un fatto reale vissuto in casa Tolstoj: l’innamoramento quasi disperato e disperante che, in un momento particolarmente complicato della sua non facile vita coniugale, la stessa Sofja Andreevna provo’ per il musicista Sergej Ivanovic Taneev, che indifferente com’era alle donne, non poteva rispondere a quell’inci inazione esaltata.
Al di la’ delle urgenze e delle occasioni immediate, “La Sonata a Kreutzer” nasce da sollecitazioni interiori profonde, esistenziali, in un periodo particolarmente inquieto e nevrotico della vita di Tolstoj: ma se e’ vero che le riflessioni sull’amore e sul matrimonio affiorano palesemente in tutta l’opera – e tanto piu’ nei “diari” – ne “La sonata a Kreutzer” sono condotte a paradossali, provocatorie e quasi nichiliste conclusioni, tanto da
suscitare roventi polemiche nelle Russia di fine ‘800. Tra recensioni entusiastiche e condanne altrettanto spietate da chi lo considerava quasi un pamphlet medioevale. E mentre il romanzo cominciava a circolare prima clandestinamente in copie litografate, perche’ l’inflessibile censura russa ne proibiva la stampa, e poi, con la benedizione dello zar Alessandro III, solo all’interno del tredicesimo volume delle opere complete (tre edizioni esaurite in pochissimo tempo), Tolstoj seraficamente confidava intanto a Gor’kij che al di la’ di terremoti, epidemie e malattie, in tutti i tempi, la tragedia piu ‘ dolorosa sarà sempre la tragedia della camera da letto.
Nell’oscurita’ di un treno in corsa attraverso la campagna russa, un uomo sente la necessita’ di raccontare “quell’episodio critico… di aver ucciso sua moglie” . Quale urgenza lo spinge a ripercorrere la sua tormentata esistenza in modo tanto appassionato? Che cosa nasconde dentro di se’ quest’uomo inquieto, che ci appare ora pacato e ironico, ora cinico e aggressivo, ora furioso ma terribilmente lucido? Dalla sua follia e dai suoi incubi sembrano emergere verità’ sacrosante, ma fastidiose e imbarazzanti da ascoltare.
E in tutto questo tumulto di sensi e sentimenti, quale ruolo ricopre la musica? Come l’arte in genere, la musica e’ dannosa, pericolosa, corrompe, contagia. Beethoven, e così Chopin, e così Schubert, e così Mozart, sono dei gran ruffiani: la loro musica non eleva lo spirito, lo eccita, ci costringe a dimenticare noi stessi: “… Sotto l’influsso della musica mi pare di sentire ciò che in realta’ non sento, di capire ciò che non capisco; la musica mi trasporta d’un colpo nello stato d’animo di colui che l’ha scritta, mi fondo spiritualmente con lui e provo le sue stesse emozioni, ma non so perche’. Beethoven quando scrisse “La sonata a Kreutzer” lo sapeva bene perche’ si trovava in quello stato d’animo, quello stato d’animo per lui aveva un senso, per me non ne ha nessuno…”
E alle volte la musica sembra trasmettere accenti quasi criminosi …